giovedì 2 febbraio 2012

Non è un paese per fiori

Santi e navigatori! Intenditori di divino e lontano, filosofi ed esploratori. Questi eravamo ai bei tempi. Che declino. L’unico Santo nostrano al momento è Versace e quanto ai navigatori…l’ultimo l’hanno visto sbarcare al Giglio. Per farci forza aggrappiamoci al fascino sempreverde di san Gennaro e ai meriti antichi di Colombo: è in America che vi porto, con una storiella bouquet di fiori e religione. Ci sono cose che possono veder luce solo là, tra le pieghe grasse di divoratori di hamburger e le dentature opalescenti di candidati alla Casa Bianca.

Ma questa non è una storia di libertà. Dentro c’è un alito stagnante e reazionario, c’è ignoranza e meschinità: il buio di qua e di là della siepe. Siamo nel Wiscounsin, tra i Grandi Laghi: regione permeata di bellezza pastorale ma non già di pastorale tolleranza.
In una scuola superiore qualsiasi stanno da tempo immemore - sonnacchiosi e defilati - alcuni segnali di cristianità. Sobri richiami al credo dominante per i quali però una studentessa, una su mille, un bel giorno dichiara aperto imbarazzo. E’ atea, spiega la ragazza nell’outing fronte-preside, e chiede quindi l’esonero devozionale: per rispetto al suo nichilismo, per libertà da ogni instillazione dogmatica, o anche solo per legittima ribellione adolescenziale. Quale che sia la nobile scintilla, fa scattare un tiro alla fune sperequato: di qua l’autorità scolastica, molti studenti e tutta la cittadina, di là la ragazza, alcuni gruppi tipicamente made in Usa come la ‘Fondazione per la libera professione religiosa’ e qualche reporter arrivato da fuori. Va da sé che la faccenda finisce davanti al giudice (non ho descrizione ma nei telefilm ce li mostrano neri, abbondanti e nervosi, forse per via degli occhialetti precari in punta di naso), e inaspettatamente, dopo una due tre quattro settimane, la studentessa vede trionfare il suo diritto a dissentire. In nome della legge spariscono dunque da scuola i banner religiosi, la fondatezza del disagio è affermata de jure. Ma. Ecco che entra in scena – rovinando tutto, manco a dirlo - la questione che ci conduce al vivo: i fiori, le piante, gli allori. Maledetti come la prima luna, c’è il loro zampino nello sgradevole prosieguo della storia.
Infatti nel momento della sentenza i sostenitori della ragazza, Fondazione per la libera etc etc in testa, vorrebbero inviarle a casa festosi mazzi di gerbere, ranuncoli, fiordalisi, petunie e quant’altro ma ….ta-tan! non trovano uno, dico uno tra i fioristi-vivaisti-giardinieri della città che saputa la destinazione, accolgano l’ordine. Una valanga di indignados: fiori ai senza dio giammai per mano mia. ‘Fa parte delle mie libertà di pensiero rifiutare un simile ordine’, ha spiegato piccata la proprietaria di ben due negozi locali. Lei non crede, io non consegno: semplice. Risposta articolata e netta da un altro fioraio: ‘Ci vergogneremmo di noi se portassimo anche una sola margherita a quella ragazza”. Quando all’ennesimo contatto pareva si fosse aperto uno spiraglio, delusione: il negoziante ci ripensa e annulla la disponibilità.

v Morale, per congratularsi a dovere i supporters hanno dovuto ricorrere ai fioristi dello stato vicino. In Connecticut sono più open mind, pare. E l’omaggio floreale ha finalmente raggiunto l’atea destinazione. Sgargiante e ridondante di nastri. Esagerato e ingombrante. Ammiccante e volgare. Comunque troppo, per una infastidita da un simbolino grande come una noce. Ma il peggio stava nel biglietto, stupefacente quanto l’America sa essere: ‘God bless you, dear’. Dio ti benedica, cara. E maledica certi compagni di lotta e i loro mazzi di fiori.