lunedì 14 novembre 2011

Porca Miseria!

Bene, adesso ci tocca per forza mettercela in casa. Io la detesto più di ogni altra, come si detesta tutto quello che fa da tornasole alle nostre manchevolezze. Parlo della Tradescantia, vulgo ‘erba miseria’. Niente di originale da parte mia, s’intende: chi non detesta la povertà più nera? Chi non la teme? Chi non la fugge?
Se poi la miseria si sostanzia in un vegetale, esplode l’effetto potenza. E io con la tradescantia ho un conto aperto da anni. Nella beata gioventù, quando si è ciechi di realtà e smaniosi d’esperienza, riempivo i monolocali dove con frequenza schizotica traslocavo, di leggiadre piantine. Le piazzavo ovunque. Soprattutto in bagno cercavo l’apoteosi cromatica, un esorcismo del water credo, ma dopo poco i vasi contenevano solo mummie. Stessa sorte per qualsiasi pianta varcasse il mio perimetro domestico. Qualcuna decedeva fulmineamente, neanche il tempo di acquistarla, qualcun’altra alla seconda innaffiata si ritrovava le foglie sparse come le trecce dell’Ermengarda, ugualmente rorida di morte. Il più stramazzava massimo in una settimana. Presa-piazzata-stecchita: la sequenza si ripeteva inesorabile. Questo insistere costicchiava pure, ma tracotante di orgoglio non arretravo. Oggi mi vedo, antipatica come solo io so essere, andare avanti indifferente a chi diceva molla, lascia perdere, non è per te.

L’impuntatura portò dunque a questa pianta piangente, una che invece di mirare al cielo spingeva getti e foglie verso il basso. Inedita! La gravità giocava dalla mia parte, e la pianta, di cui ignoravo il nome ma che importava (ripeto, ero giovane. Giovane!), superò inaspettatamente la settimana. Poi rigogliosa il mese: in bagno pendeva tutt’un intreccio di rami e rametti, un trionfare di verde carnoso, un’esplosione di benessere vegetale. Finchè non venne a trovarmi la Stella, una collega con la mania dei cani e della natura, intimamente vocata al catastrofismo, una che aveva sempre avuto da ridire sulla mia gestione del verde. Fui soddisfattissima quando chiese di andare in bagno: lì cresceva la pianta misteriosa, il mio riscatto.
Per giungere a destinazione l’amica avrebbe dovuto scostare una vera cortina di fogliame: quel suo impulso naturale cuciva insieme cesso e successo. Attendevo.
L’urlo arrivò prima dello sciacquone: ‘Ma cosa ti sei messa in casa??!’.
Uscendo dal bagno, ges ticolava come un mulino a vento: ‘La pianta della sfiga, la miseria! Sei matta?! E’ il peggio del peggio! Altro che specchi gatti o venerdì tredici! Cosa ti è saltato in testa?’ Teneva in pugno il sospensorio per rampicanti con la tradescantia (chiamiamola scientificamente), le fronde a spazzar terra: rievocazione scomposta di Giuditta e Oloferne, un soggetto quanto mai sgradevole.
Infatti ci rimasi malissimo. ‘Da quanto ce l’hai?’ chiese guardandomi storta. La risposta non era interessante, perché incalzò subito con ‘Comunque la butto io..’ e mi passò davanti come un razzo, infilò l’uscio di casa e scomparve tracciando un sentiero di piccole, malefiche foglie. Spazzai via con quelle ogni residua velleità e un pollice verde che non avevo mai avuto.
Quell’anno scoprii che l’ex fidanzato, quello che con me voleva leggere Proust sotto un salice e discutere spesso di Klimt e Kokoschka, aveva impalmato miss Italia 1979, una che dichiarava gioiosamente di fare l’orlo alle braghe dei fratelli e di avere letto in adolescenza giusto un giallo mondadori, senza per altro averlo finito.

Nello stesso periodo mi rubarono l’auto e mi arrivò una cartella delle tasse (errata) che sventai solo dopo una trafila lenta e dolorosa. Ora, non è vero ma ci credo. La sfiga esiste e forse la Miseria, con quella crescita in abnorme contrasto col trend personale, c’entrava qualcosa. Alla Stella come che sia porto perenne riconoscenza e voi, che leggete questo post come il verbale di una seduta d’analisi, adesso condividete le radici (parola orrenda) della mia intolleranza alle piante da appartamento. Ingannerei soprattutto me stessa se però affermassi che reginetta di bellezza, furto auto e cartella esattoriale hanno avuto lo stesso peso nell’evolversi della mia vita e del mio sentire. Ecco che non lo farò ed ecco anche perché adesso trovo poco digeribile il ritorno diffuso della ‘miseria’ negli interni italiani.
Questa volta però io non c’entro. Purtroppo il perseverare laddove non si hanno competenze, non è un atteggiamento originale. Né solo giovanile. Qualcuno in questo modo ci ha infilato in casa foreste di tradescantia. Un nome onomatopeico ed evocativo, vero? W missitalia, w le tasse, w la fiat.