martedì 21 febbraio 2012

Io, tu e le rose


Un brutto presentimento mi ha accompagnato per un po’. Poi a Sanremo il timore ha preso forma: la melanconica egemone spelacchiata fisionomia di un cantante fuori tempo massimo bisognoso di esorcizzare l’inevitabile finale di spettacolo. Lo sfarfallio di una splendida figliola testimone di quanto cervello e mutande vadano insieme. Il fiato corto di un comico che ci era anche piaciuto in Basilicata coast to coast ma che defollowiamo all’istante, grazie a battute innovative quali ‘queste non sono minchiate’.

Il dramma si compie con lo scelto pubblico del teatrone Ariston (anagramma di RISATON) che si sganascia estatico. Delle canzoni che vi parlo a fare? Mi sovviene un Carosello  (lavatrici) con botta e risposta  tipo ‘or che bravo sono stato posso fare anche il bucato? /Il bucato in casa c’è chi lo fa meglio di te’ . Appunto. Non sono musicologa. Ma musa della controbotanica sì. Infatti, - e qui entro appieno nel mio – silenziose spettatrici e dunque complici di un intento distruttivo così ferocemente perseguito , sono migliaia e migliaia e migliaia di piante e fiori (sempre che non si voglia metter nel pacco anche la Rai, ma qui andrebbe identificata la volontà di qualche mente strategicamente attiva. Un intento investigativo da anime pure, quali non siamo). Solo nella cosiddetta città dei fiori, infatti, servono piatti così ben presentati quanto di pessimo gusto. Addio al profumo di calle, petunie, gelsomini.
L’aria è pesante per  il disfacimento dell’equilibrio, del garbo, del grande incontro tra chi dal palco offre un talento e chi in platea di quello e in quello alimenta i propri sensi. Mala tempora. Le piante, i fiori e il loro santo protettore in passato avevano davvero fatto di meglio.  Quando ero piccola mia nonna, confinata su una sedia a rotelle, attendeva il Festival di Sanremo tutto l’anno. E alla prima serata si faceva condurre davanti alla grande televisione con serranda e chiedeva di farle compagnia. Dai, guardiamo le ‘toilettes’, diceva. E sotto la serranda finalmente alzata passava Milva, passava Mina, passava Wilma De Angelis. Passavano Dori Ghezzi e Gigliola Cinquetti. Passava Annarita Spinaci con Anna Identici. Passava Iva Zanicchi, passava Shirley Bassey. Mia nonna annotava e dava pagelle.
In realtà le interessavano ben più i vestiti delle canzoni. In fondo alla sua lista c’era sempre Orietta Berti (credo per entrambe le sezioni) ma io restavo lì, bimbetta, e mi divertivo.  Mia madre, che amava molto andare dalla modista (figura scomparsa, era la creatrice di cappelli, quella che le mise in testa una torta fiorita il giorno della mia cresima) teneva d’occhio le acconciature e ricordo che una molletta mezza storta di Betty Curtis alimentò leggende circa le attività nei camerini. Ora persino io che sono loro nemica giurata, credo che i fiori meritino di morire per cause migliori che bordare  il palco dell’Ariston quando sopra ci si vomitano cazzate e stonature. Farsi tagliare il gambo per un paio di belle, bellissime gambe non basta. Schiattare per Passera ok ce lo chiede l’Europa ma per una passera chi ce lo ha chiesto? E finire nel mazzo omaggio a Celentano sarà mica un happy end? Un guru da via Gluck gargarizza invettive contro Vaticano e stampa davanti a una platea vana e lustrinata  e loro ci rimettono petali e corolle. No, non va.
E non va neanche che i giornali ci scrivano paginate sopra. E facciano mostra di prendere sul serio la Rai, che prima paga 300mila euro Celentano proprio perché è Celentano poi si indigna se il ragazzaccio  produce esattamente quello per cui è stato ingaggiato. E si auto commissaria, col DG che manda in Liguria il vice con licenza d’uccidere.  Una gag più che un atto aziendale.

Tra emittenze e eminenze il  quadro è davvero intricato. E mi ripeto: lo scadimento, la volgarità che sta anche in questo gestire la cosa pubblica oltre che nelle battute del comico di turno, nella scosciatura della sudamericana e nelle concioni del cantante che non canta, se meritano fiori sono quelli di carità, se meritano applausi sono quelli che salutano l’addio. Ai tempi,  un tassello fuori posto poteva essere fatale:  Luigi Tenco venne sopraffatto da una canzone mediocre. Oggi, ‘Io tu e le rose’ mi appare luminosa e anche Orietta Berti risale alla grande la classifica. Quanto a mia nonna, avrebbe tirato giù la serranda da un pezzo.