venerdì 30 dicembre 2011

L'ingorda, egocentrica Meet Eater


Il genere umano versa in grave pericolo.
Il killer ha il colpo in canna e arriva a cavallo di un’idea diabolica; l’arma di massa è realtà, anzi: è ai confini della realtà. Non sarà infatti il banale asteroide Y234nk a farci secchi, bensì l’insinuante, ingorda, egocentrica Meet Eater. E credete, per Meet Eater non esiste un Bruce Willis capace di salvarci.
Adesso, non per allarmismo ma per tentare che almeno  un paio di noi – meglio se coppia in età fertile – si salvi, vado a dettagliare.

Una pianta si è iscritta a Facebook. Ed entra in questo 2012 contando 9761 dannati amichetti. O dovrei dire ‘complici’? Il Goldfinger, il Moriarty, il dottor Mabuse di questa storiaccia ha le fattezze ingannevolmente bonarie di un giovanotto australiano che si professa ‘designer’.  In effetti di un disegno certo si tratta, ma perverso alquanto. Simulando un ‘esperimento universitario’ (ateneo di Queensland, non mi sovviene alcun nobel in arrivo da lì ma transeat) questo Bashkim Isai ha aperto una pagina da cui la pianta saluta gioiosamente i fans e cresce in proporzione all’affetto che con una cliccata le viene dimostrato. Morale ad ogni ‘mi piace’ Meet Eater si alza di una spanna, si corrobora, si espande. Una webcam mostra la sua evoluzione h24. Ma quanti film abbiamo visto dove i cattivi propinano sugli schermi di sorveglianza dei buoni, filmati che coprono la realtà? E cattivi che usano la (le) televisione(i) per manipolare i cervelli? Con l’esperienza che abbiamo, questo Bashkim Isai non ci frega. E’ partito alla conquista del mondo. Un mondo che governerà forse attraverso piante enormi e mostruose che ci faranno loro schiavi. Nessuno ci dice in metri yarde o verghe quanto la pianta davvero misuri al momento, ma chi ha visto ‘L’invasione degli ultracorpi’ o ‘Il caimano’ ha motivo di preoccupazione.

La verità è che Meet Eater cresce tramite l’interazione umana, usando il lato oscuro di Facebook.  L’intento ufficialmente dichiarato dal designer australiano è dimostrare che uomini e piante possono essere simbiotici, sfruttando sapientemente web e tecnologia. Sapevo – come scrive Bill Bryson in ‘Un paese bruciato dal sole’- che gli australiani sono tipi eccentrici e a volte autodistruttivi (memorabili le pagine in cui Bryson descrive il loro folle perseverare nel jogging a un passo dall’oceano, pratica che consente di sfamare ogni anno migliaia di squali),  ma che un australiano stesse attentando al genere umano, è una constatazione inquietante. Comunque Meet Eater  butta getti a destra e manca e bisogna fare qualcosa.  Se non puoi battere il tuo nemico, diventa suo amico, dice il saggio. Io lo farei, giuro, ma ho un blog da difendere. Cercate di capirmi.. cliccate avanti voi. qui  



sabato 24 dicembre 2011

Tanti auguri

Tanti auguri, cari sradicabili. Devo dire che sotto il cielo natalizio oltre all’allegro tandem Monti Fornero anche i giornali ci scodellano forti emozioni.
Ringrazio dunque il ‘Guardian’ per aver dato la giusta evidenza alle disavventure di un quarantaseienne inglese che, causa le consuete invasioni domiciliari che si accompagnano alle feste, ha dovuto lasciare il calduccio della sua casa nel Kent per il fresco del carcere di contea.

Le piante sono portatrici di sciagure, non mi stanco di ripeterlo. E Ian Richards ha iniziato a capirlo quando gli agenti hanno fatto irruzione nel suo salotto. Già non poteva sceglier peggio l’albero di Natale.
Averlo ‘vero’ è di per sé segno di propensione a delinquere: si toglie un polmone verde alla comunità per procurarsi un tronco sbilenco che sparacchia foglie secche. Così si incrementano rifiuti e lombalgie (provate a raccattare per giorni aghi di abete) appesantendo la spesa pubblica.
Siamo qui per risparmiare! Non che Ian Richards avesse un opacizzato senso del denaro, però – cazzo – occorreva proprio addobbare una pianta di cannabis e tenersene in casa altre per una ventina di Natali a venire? questo è spreco e - devo chiedere non son sicura – magari vilipendio (di tradizione sovranazionale). Pare che vedendo addobbi e palle pendere dalla cannabis anche le forze dell’ordine si siano infastidite: ”Usare una pianta di cannabis in quella maniera significa disprezzare profondamente la legge”, sarebbe stato il commento dell’investigatore Darren Dennet. Un uomo decisamente sensibile che a mio parere ha ragione da vendere.

L’avventato Richards, all’opposto, da vendere non ha più nulla.
A Natale più che parenti e amici, lui aspettava clienti. In una delle camere da letto i poliziotti hanno trovato una fabbrichetta di marijuana capace di abbondante produzione. Ora lo spaccio aziendale è chiuso: Richards si è beccato diciotto mesi. Doppia la morale della storia: uno, l’imprenditoria dà segni di vita ma è schiacciata dalla burocrazia, due vedrai che quando esce Richards decide di delocalizzare…
Intanto si farà in cella anche il Natale 2012 ma almeno sta sicuro che l’albero lì lo fanno finto.

domenica 4 dicembre 2011

Bella di un giorno

Vedo rosso e non mi chiamo B. Vedo rosso e non credo ai comunisti, né a Babbo Natale. Sono un tipo equilibrato, quindi, ma in questo periodo dell’anno il rosso mi pulsa davanti agli occhi.
L’Euphorbia Pulcherrima è in agguato. Temporizzata, fotoperiodica, ordigno floreale a orologeria, esplode con la novena e va sotto il falso nome di Stella di Natale. Fiutando il consumismo, con una spregiudicata operazione di marketing si è legata alle feste di fine anno come certi giornaletti si abbinano ai grandi quotidiani per trovare una platea. E ce l’ha fatta: si stravende solo un mese all’anno, il resto del tempo dormicchia indisturbata e anonima, pasturata nei vivai nell’unica non stressante attesa del Natale successivo.

E brava l’Euphorbia, riuscita tra le piante laddove in mille tra gli umani hanno tracciato la via: dare poco prendendosi molto, sfilarsi sul più bello e risorgere alquantum postea, per gabbarti di nuovo. Già perché in tutto quel tempo dimenticheremo di come la Stella ci abbia deluso: esplosiva e abbagliante nei paraggi dell’albero, era già in vena di spelacchiamento una manciata di giorni appresso. Mogia all’arrivo dei magi, nuda allo sgombero degli addobbi. Quelle che superano il 15 gennaio ingannano brevemente: annaffiate cautamente tosto s’inzuppano e marciscono rapide, oltre il necessario.
Una stella di Natale non muore: stramuore. Così vi fa del male, vi abbindola, vi istupidisce più del ritornello di Jingle bells. E lei, che sa dove toccare, cavalca non solo il buonismo natalizio ma si presta alla beneficienza (una stella per questo, una stella per quello) perché così fa business ballandovi sul cuore. Una tattica infallibile. L’anno dopo infatti, stolti la ricomprerete, perché sì, adesso so come si fa. La solita saputa che vi è parente o amica, puntuale vi rimbecca anticipatamente: quando perde le foglie devi metterla al buio! E coprila! (non dice coglione unicamente perché non le basterebbe) Dandole retta avete avuto storie difficili con i ripostigli, covi di ex pulcherrime incappucciate come ostaggi di narcos (sono orginarie del messico: dunque avezze ai narcos e aliene ai nostri climi).

Naturalmente manco una pianta è mai tornata quella di un dì perché se è vero che una volta (una sola) c’è stata la resurrezione, è anche vero che non s’è visto il becco di un foglia rossa. Mai più. Non ascoltate chi adesso dice che con la tecnica si può governare la situazione. Naa. Le foglie rosse ci circondano in questi giorni ma sarà la solita fiammata. In più il 2012 sarà bisesto. Vi pare che proprio in un anno bisestile l’Euphorbia cambia tattica?

lunedì 14 novembre 2011

Porca Miseria!

Bene, adesso ci tocca per forza mettercela in casa. Io la detesto più di ogni altra, come si detesta tutto quello che fa da tornasole alle nostre manchevolezze. Parlo della Tradescantia, vulgo ‘erba miseria’. Niente di originale da parte mia, s’intende: chi non detesta la povertà più nera? Chi non la teme? Chi non la fugge?
Se poi la miseria si sostanzia in un vegetale, esplode l’effetto potenza. E io con la tradescantia ho un conto aperto da anni. Nella beata gioventù, quando si è ciechi di realtà e smaniosi d’esperienza, riempivo i monolocali dove con frequenza schizotica traslocavo, di leggiadre piantine. Le piazzavo ovunque. Soprattutto in bagno cercavo l’apoteosi cromatica, un esorcismo del water credo, ma dopo poco i vasi contenevano solo mummie. Stessa sorte per qualsiasi pianta varcasse il mio perimetro domestico. Qualcuna decedeva fulmineamente, neanche il tempo di acquistarla, qualcun’altra alla seconda innaffiata si ritrovava le foglie sparse come le trecce dell’Ermengarda, ugualmente rorida di morte. Il più stramazzava massimo in una settimana. Presa-piazzata-stecchita: la sequenza si ripeteva inesorabile. Questo insistere costicchiava pure, ma tracotante di orgoglio non arretravo. Oggi mi vedo, antipatica come solo io so essere, andare avanti indifferente a chi diceva molla, lascia perdere, non è per te.

L’impuntatura portò dunque a questa pianta piangente, una che invece di mirare al cielo spingeva getti e foglie verso il basso. Inedita! La gravità giocava dalla mia parte, e la pianta, di cui ignoravo il nome ma che importava (ripeto, ero giovane. Giovane!), superò inaspettatamente la settimana. Poi rigogliosa il mese: in bagno pendeva tutt’un intreccio di rami e rametti, un trionfare di verde carnoso, un’esplosione di benessere vegetale. Finchè non venne a trovarmi la Stella, una collega con la mania dei cani e della natura, intimamente vocata al catastrofismo, una che aveva sempre avuto da ridire sulla mia gestione del verde. Fui soddisfattissima quando chiese di andare in bagno: lì cresceva la pianta misteriosa, il mio riscatto.
Per giungere a destinazione l’amica avrebbe dovuto scostare una vera cortina di fogliame: quel suo impulso naturale cuciva insieme cesso e successo. Attendevo.
L’urlo arrivò prima dello sciacquone: ‘Ma cosa ti sei messa in casa??!’.
Uscendo dal bagno, ges ticolava come un mulino a vento: ‘La pianta della sfiga, la miseria! Sei matta?! E’ il peggio del peggio! Altro che specchi gatti o venerdì tredici! Cosa ti è saltato in testa?’ Teneva in pugno il sospensorio per rampicanti con la tradescantia (chiamiamola scientificamente), le fronde a spazzar terra: rievocazione scomposta di Giuditta e Oloferne, un soggetto quanto mai sgradevole.
Infatti ci rimasi malissimo. ‘Da quanto ce l’hai?’ chiese guardandomi storta. La risposta non era interessante, perché incalzò subito con ‘Comunque la butto io..’ e mi passò davanti come un razzo, infilò l’uscio di casa e scomparve tracciando un sentiero di piccole, malefiche foglie. Spazzai via con quelle ogni residua velleità e un pollice verde che non avevo mai avuto.
Quell’anno scoprii che l’ex fidanzato, quello che con me voleva leggere Proust sotto un salice e discutere spesso di Klimt e Kokoschka, aveva impalmato miss Italia 1979, una che dichiarava gioiosamente di fare l’orlo alle braghe dei fratelli e di avere letto in adolescenza giusto un giallo mondadori, senza per altro averlo finito.

Nello stesso periodo mi rubarono l’auto e mi arrivò una cartella delle tasse (errata) che sventai solo dopo una trafila lenta e dolorosa. Ora, non è vero ma ci credo. La sfiga esiste e forse la Miseria, con quella crescita in abnorme contrasto col trend personale, c’entrava qualcosa. Alla Stella come che sia porto perenne riconoscenza e voi, che leggete questo post come il verbale di una seduta d’analisi, adesso condividete le radici (parola orrenda) della mia intolleranza alle piante da appartamento. Ingannerei soprattutto me stessa se però affermassi che reginetta di bellezza, furto auto e cartella esattoriale hanno avuto lo stesso peso nell’evolversi della mia vita e del mio sentire. Ecco che non lo farò ed ecco anche perché adesso trovo poco digeribile il ritorno diffuso della ‘miseria’ negli interni italiani.
Questa volta però io non c’entro. Purtroppo il perseverare laddove non si hanno competenze, non è un atteggiamento originale. Né solo giovanile. Qualcuno in questo modo ci ha infilato in casa foreste di tradescantia. Un nome onomatopeico ed evocativo, vero? W missitalia, w le tasse, w la fiat.

lunedì 17 ottobre 2011

il Notocactus è il vero padrone di Porto Miggiano

Voglio dire la mia su una questione ambientale casareccia. Non solo perché d’estate faccio parte di un consolidato gruppo di bagnanti-natanti definiti spietatamente ‘i forzati di Porto Miggiano’ ma anche e soprattutto perché qui si parla di ambiente e, ovvia conseguenza, di vegetazione.
A me Porto Miggiano, naturalmente così pelato, raso e terragno, seduttivo con quella bella torre fallica che certo ha ispirato il Poeta (quale? su due piedi non ricordo, ma uno che ha buttato giù qualche verso bucolico tipo ‘Porto Miggiano senza tramvia/porti lontano l’anima mia’ lo si trova) pare in serio pericolo. Quella lottizzazione, con le piscine smisuratamente abbondanti e per contro con profondità secca-del-mar-morto, la musica dozzinale, il baretto aperitivoso (‘sprizzino’ o ‘fusion’ ?), gli smutandati ostentativi obbligato corredo del luminosamente volgare, nulla sono a confronto dei rischi inoculati dal diffondersi in loco di una cactacea un tempo confinata (per ottimi motivi) alle praterie del sudamerica: il Notocactus.

Ahi me lasso!(sempre il Poeta) il Notocactus è ormai padrone a Porto Miggiano e dintorni. Coi suoi fiori giallo stizza, grandi e centrali, è stato messo in vaso da alcuni ignoti scellerati e ora lo ritroviamo ornamento di vasche idromassaggio, bordura di sentieri lastricati, perimetro di zone ristorante, pungente benvenuto al cancello di orride villette a schiera. Le sue spine si conficcano ovunque. Prima vittima Black: cane da tartufo fuori sede, ha messo il naso nel tubero sbagliato. A terra molti pneumatici di altri ignari turisti. In ospedale a Tricase padrona di agriturismo che raccoglieva erbe presidio slowfood. Esploso il palloncino di Trifone (tre anni) venuto da Alessano con gli zii. Perso l’occhio di un guardone nascostosi proprio dietro due vasi di ‘Scopa’ per la solita sbirciatina. Ci sono anche sospetti che il Notocactus, col suo peso, l’inverno scorso abbia concorso al crollo della scogliera: un chiaro caso di complicità con la speculazione. Cos’altro ancora deve succedere?

Indigniamoci! C’era una scogliera metafisica e millenaria. Un golfetto turchese e selvaggio. Un luogo fiabesco che, resistente per natura all’infestazione vegetale, tollerava giusto qualche fico d’India di quinta-sesta generazione (ben integrato, regolarizzato, ante Bossi-Fini). E tu che fai? Già mi ci infili le piscinazze – si vede che il mare ti fa schifo ma allora perché ci vieni, stai a Lecce che sei al sicuro -, mi costruisci alle spalle un bel Lego di seconde-terze casette, e non pago – come brufoli sul mento di un adolescente –mi spargi ovunque il Notocactus? Tutta colpa delle banche e di un influente manipolo di maniaci sessuali cleptomani (curiamoli). Le prime hanno finanziato acquisto e invaso devolvendo un profluvio di liquidi (chi l’ha detto che le piante grasse non ne hanno bisogno??) a imprenditori (s)pregiudicati, gli altri hanno scelto fior da fiore, indicando nel Notocactus SCOPA e in particolare nella sua sottospecie RUBERRIMUS, le piante da imporre sul territorio.

Una vicenda davvero spinosa e hai voglia a metterci una pezza. Allora sfiliamo, protestiamo, firmiamo petizioni contro il Notocactus e i suoi sponsors. Eppure si sapeva, bastava leggere un qualunque atlante di botanica per scoprire che il Notocactus è stato inserito nel genere ‘Parodia’..insomma non sappiamo essere seri neppure in fatto di piante.
Manifestiamo, ripeto. Giornata mondiale degli Indignati di Porto Miggiano presto, prestissimo. Anzi, ieri l’altro. E tu Black, la prossima volta resti a cuccia.

mercoledì 5 ottobre 2011

Non volevo strafare


Queste piante maledette sono disposte a tutto pur di non mollare il posto vaso non sempre conquistato in modo limpido. Un esempio chiarissimo ci viene dalla Bocca di leone (conoscevate il dente, vero? siete dei bambini). C’è in quest’Antirrhinum majus una pervicacia, una sfrontataggine, una baldanza appiccicosa (e non solo per colpa degli afidi) che ne fa il peggio della pur trista genia delle  Scrofulariaceae. Per liberarsene occorre sapere di guerriglia urbana, e conoscere alcune cosette per inquadrare il soggetto.

P
rimo, trattasi di predestinato: voi non l’avete scelto.
E neppure l’amministratore ricorda come mai, di tante piante in circolazione, proprio quella sia finita in lista al momento del restyling dell’atrio condominiale. E ancor meno ne sa spiegarne l’imprevisto esubero numerico e la conseguente compulsiva ricerca di spazi ad hoc.
 Gli Antirrhinum spesso finiscono imboscati: magari - come in un caso leccese notissimo - al terzo piano, nel due camere e bouvette appartenuto a un consigliere psi: l’erede barattò l’accoglienza per sedici piante con uno sconticino sul riparto spese pulizia scale. In compenso perse l’uso dell’immobile. Okkupato.
S
econdo, è un soggetto che non si accontenta: esige un letto caldo, sempre. Torba e sabbia. Intorbidito e insabbiato vive infatti alla grande. E mangia mangia, e cresce cresce, che in otto-dodici giorni è capace di germinare tanto formare un suo gruppo. Poi se ne distacca, magari. Intanto sai che casino.
T
Erzo, resiste a tutto: incassatore sorprendente. Se il piano è lasciarlo al suo destino per poi una volta atrofico sostituirlo con piante a scelta diretta, soprassedete. Neppure la grandine o il lancio di monetine scalfiscono questo fusto. Né si confidi sulla riunione di condominio straordinaria: si va al voto solo a scadenza e comunque in quel caso, franchi tiratori impiomberanno il numero legale. Nel frattempo facilmente arriverà al condominio stesso decreto ingiuntivo per il pagamento della fornitura (non richiesta).

Che porcellum con le Scrofulariacee! Come fare per ripristinare il diritto di determinazione almeno in materia di verde domestico? Molti i tentativi, tanti i fallimenti, e purtroppo non rare le proposte sballate.
Dal trattato di Feng shui allegato a un recente Architectural Digestion : ‘Esposto a nord  l’Anthirrinum majus rapidamente smette di ramificare a vuoto e a spese d’altri’. Falso. Certa stampa è in mani pericolose. La bocca di leone (detta anche di lupo, ndr) regge tempeste padane, dolomitiche e ben altro.
Scienza! Ecco cosa ci vuole per smettere di foraggiare piantacce non volute, spesso inutili e manco di presenza. Sradicati invita alla lotta integrata. La muffa grigia (fungo assassino, tale Botrytis cinerea) attacca i colletti degli anthirrinum e declassandone il biancore, copre le foglie di fatali ammassi pulverulenti: garantito avvizzimento rapido. In aggiunta si può contare su un ulteriore effetto fungino noto come ‘marciume radicale’. Questa componente non farà certo mancare il suo sostegno.  Come?  Un’altra bufala di Architectural Digestion?! i radicali sono più che mai liberi. Allora non ci resta che il botulino. Scienza, dicevo. 


mercoledì 28 settembre 2011

Leptospermum scoparium


Siete testimoni che ho parlato di ‘aria ammorbata’ e ‘contesto appesantito’ in tempi non sospetti. Certo, ce l’avevo (e ce l’ho) con le piante da appartamento e i loro mentori sciagurati ma avete visto allora vibrare qualche muscolo facciale di Maurizio Lupi? Colto qualche sua pennellata verbale di piccato risentimento? Me ne stavo in disparte, depressa: dopo mesi che lancio moniti, produco aneddoti esemplificativi, denuncio il pericolo che ci insidia, manco un sacrestano che rilanci, un capo condominio che annuisca, un controllore bus che si schieri. Già a un passo dal suicidarmi ingerendo concime del Mato Grosso, come folgore saturniana - luminoso e preclaro - un Cardinale (dunque un uomo santo) ha scagliato il suo monito in mare aperto, e io ho mollato il concime sul ciclamino di mia suocera, subito deceduto (il ciclamino).
Il cardinal Bagnasco non ha mai letto Sradicati ma è un saggio lo stesso (sopporta max piante di plastica, rari fiori di seta) ed è chiaro che siamo sintonizzati al di là della Radio Vaticana. Dunque fatemi tuonare con Lui: davvero basta con i comportamenti licenziosi e le relazioni improprie. Non c’è più aiuola contenitiva. Una cintura protettiva, un confine almeno domestico. Il mondo vegetale è un mondo promiscuo, lascivo e pronto a tutto per sopravvivere. Sfrutta l’uomo ingenuo e generoso, quello convinto che quattro foglie sul comò facciano sempreverde e cerca così bellezza, flessuosità, colore. Vita. Per questo, paga. Negozio, vivaio, supermercato che sia. Gli intermediari non mancano. E la pianta, trionfante, entra in casa. Difficilissimo vederla uscire. La più sfacciata, senza scrupoli, è la Leptospermum scoparium. Forma rotondeggiante, rami contorti, appare come una tenerella dai bei fiori rossi o rosa che esplodono in estate. Il geometra Fersini, da Cavallino, ne aveva sentito parlare e infelice con la seconda moglie tanto appesantita, aveva cercato ricovero nella Lepto, dopo avere preso un muffo dalla badante della madre. Ordine su Internet (dobbiamo rimarcare i pericoli della rete?), consegna a domicilio e subdolo bigliettino alla consorte. Quasi un’ode alla famiglia, bella realtà di cui le era grato. La moglie finse di abboccare.

 Poco dopo, essendo la scoparium un’australiana (avete presente Nicole Kidmann?) alta fino a cinque metri e larga in proporzione, il geometra non esitò a servirsene come paravento per una pratica onanistica che lo sopraffece durante una puntata di ‘Uomini e donne’. Poi, trovandosi benino grazie anche alla distanza salvifica dalla cucina regno-della- moglie, volle strafare e avvolto nella Leptospermum palpeggiò a scatti un’amica della figliastra ventenne. Ahhhahh, fece sorpresa la Ylenia guardandosi intorno. Ma è tuo padre! esclamò quindi rivolta all’amica. Poveretto, fece quella, è malato: abbi pazienza. Il geometra tentò di allungare un ciondolino di silver alle ragazze ma non bastò. ‘Nu cazz!’ urlò la signora Fersini uscendo dalla cucina dove friggeva pittule. Olio bollente sui bollenti spiriti e fu la fine del secondo matrimonio. Quando si dice restare scottati: Fersini vive oggi nel garage di un vicino. Ad Altri è andata diversamente, d’accordo, però con quanti matrimoni a pezzi è lastricata la strada del paradiso? Dice ancora Lupi che i peccati li giudica il buon Dio. Sì ma un portavoce fa sapere che ormai Lui si annoia e potrebbe far chiuder bottega a tutti mandando una nuova epidemia di punteruolo rosso a far secche le Scoparium e chi le procaccia. Quanto agli utilizzatori finali, già delegato il Sant’Uffizio. E anche altri Uffizi meno santi ma molto giudi..ziosi. Nell’attesa, però, la Leptospermum fa dei gran bei fiori.

martedì 12 luglio 2011

La Medinilla, splendida pianta da fiore

Sono decisamente in ritardo rispetto alla mia media-blog, ma capirete che ho preferito tacere un po’ per tener calmi i mercati. Quello di Amsterdam primo tra tutti. Le turbolenze legate ai prezzi dei bulbi non hanno però moderato il loro impeto quanto era logico aspettarsi, e devo ammettere che oggi persistono
sulla piazza affari decisamente poco trasparenti. D’obbligo puntare allora il dito contro le vendite allo scoperto, che in questo periodo dell’anno significano serio pericolo per la salute dei tanti avventati che investono in piante e fiori. Oltre al pesante rischio di un’insolazione - con conseguenti impennate dei costi sociali, sanitari in primis -, trascorrere ore tra i vialetti di un vivaio impossibilitati al costume e senza avere in testa almeno una paglietta corleonese, procura cento per cento la famigerata e invalidante abbronzatura del giardiniere. Durante le vendite allo scoperto infatti, il sole crea un’area Schengen nel giro coscia e nel braccio, una divisione razzista tra carne bianca e nera, un gap ombra/luce poi difficilissimo da colmare, anche a mercati chiusi. Uniti dunque per bloccare un meccanismo infame che già ha fatto vittime. Chi non ricorda lo sfortunato commercialista di Melendugno che per poter alleggerire la dichiarazione di un caro cliente volle scegliere personalmente in un pomeriggio di luglio centottanta piante ornamentali? Dichiarati spese di rappresentanza, come da soffiata uscita dalla Procura, i viburni piazzati qua e là per casa avevano in realtà ruolo di cripta-cimici, per cogliere sul fatto la moglie del cliente, storia di corna col socio in affari. Il commercialista morì ustionato mentre visionava la verzura, ma si era poi proceduto comunque all’acquisto grazie a un legato testamentario. Confermandosi l’assunto che le piante in casa sono indifendibili carogne, la tresca fu documentata da intercettazioni ritenute legali e usata in tribunale per ritorsioni ad ampio raggio. Il caso è cold, ma la guardia non va abbassata. Le cimici poi fanno schifo e se le schiacciate si sa che puzzano.
Se la speculazione deve essere fermata e il debito ridotto, urge stop alle spese: basta ipad, schede telefoniche multiple, magnum di pop corn al cinema (ma non vi viene una sete bestiale?), statue di padre Pio in giardino. Ma basta soprattutto con le piante. Siamo già al verde, insistiamo? E non volendo lasciare il cerino nelle mani del prossimo blogger, aggiungo: adesso.
Quindi tuona la mia indignazione mentre hic et nunc denuncio l’esemplare e feroce caso della medinilla magnifica. Qui i fondi agricoli avevano fatta incetta tra circa 400 specie e siccome nel loro campo non sono degli sprovveduti, avevano puntato sui mercati emergenti pompando al massimo un’orientale, una filippina bella tra le belle, botanicamente M A G N I F I C A. In latino, eh? Che anche in Vaticano con gli investimenti non si scherza.

La Medinilla, splendida pianta da fiore, fusto spesso a sezione quadra (aiuta la quadratura di bilancio), foglie verde scuro che secondo gli analisti avrebbero potuto raggiungere un target fino a trenta centimetri, è stato il cavallo di Troia (scusino eventuali ministre in lettura) ideale per il gioco al rialzo. In poco tempo la Magnifica, le cui difficoltà di moltiplicazione erano notissime agli esperti, ha visto impennarsi il suo valore. Giardinieri di tutto il mondo e non solo, hanno fatto incetta di terriccio universale – l’unico che ne garantiva la proliferazione - per assicurarsi mano libera e su larga scala. La Medinilla quotava così sui mercati internazionali anche diecimila dollari al barile (le avevano messe in vendita proprio così, a barili, per trovare riscontro anche sul versante arabo) e il toro era scatenato.
Abbiamo dunque visto quei fiori circondati da brattee rosa chiaro nei luoghi più chic della terra. Briatore ha riempito la camera da letto armatoriale, Angiolina Jolie ha inghirlandato i figli, Lapo Elkann ne ha annusato i petali allo sfinimento. Fino all’ultimo raggio di mondanità: il bouquet della Titti, una biondina ora Brunetta, solo appena imbarazzata nel tradizionale lancio del trofeo matrimoniale: aveva nell’entusiasmo tenuto il barile. Nessun ferito.

Ma ecco, a poche ore dal sì, scoppia la bolla della Magnifica. In realtà già da tempo si sospettava che, al di là dei fondi, la vera incetta del terriccio universale l’avesse fatta molto prima un misterioso qualcun altro. Ma ora, d’un tratto, l’indisponibilità del vitale materiale, mal difeso dalle pur importanti iniezioni delle bancarelle centrali, è venuta a galla mentre la medinilla rapidamente smetteva di moltiplicarsi. I fondi, che non si erano persi nemmeno un numero di News of the World, hanno venduto massicciamente. Della Magnifica, dalla quale persino il Vaticano pare aver preso le distanze indicando nel Magnificat il suo solo interesse (subito incazzati i sostenitori dello Stabat mater), rimane qualche foto. I barili sono vuoti e anche le borse (c’è sempre qualcuno che imberta una pianta nella shopping). Le quotazioni stanno a zero.

La speculazione internazionale, che ha venduto allo scoperto a quei pirla che giravano senza cappello, se la gode. Il bouquet della Titti, finito ad un’amica endocrinologa che nell’acchiapparlo aveva pianto, è secco e incolore.
Panico diffuso mentre la Procura indaga sulla liceità di uomini e azioni. Per ora i responsabili della scomparsa di milioni di metri cubi di terriccio universale non hanno un nome. Silenzio da Bruxelles, silenzio da Avetrana. Perquisita una casa dove a Tremonti sarebbe piaciuto abitare ma il proprietario aveva detto col cazzo che te la presto.

Unica speranza, un testimone sardo: Gianninu Lu Puddu, muratore e difensore del dialetto, abitante alla Maddalena. Ai magistrati suggerisce: ‘Chircate in su isula’. Traduzione: cercate nell’isola.
Poi aggiunge: ‘Gi ottu! Gi ottu!‘
Acc..la traduzione è scritta così in piccolo…

giovedì 30 giugno 2011

Lo strano caso della Ctenanthe oppenheimiana

Per quanto superlativamente rara, con la storia dei centocinquant’anni ve la siete trovata tra i pollici. Non va sottovalutata, questa Ctenanthe oppenheimiana: ora la sua versione ‘tricolor’ mira a fare di voi un martire e non viceversa. Vellutata come una Campbell, accattivante nelle sfumature color crema, la piantaccia in questione è l’incubo del piu’ coriaceo tra i coltivatori. Instabile, suscettibile, ambigua, umanizzando la direi perennemente in bilico tra l’urlo e la risata. Se già la gestione ordinaria è ostica e non si riesce a farla crescere oltre i cinquanta centimetri quando all’origine supererebbe agilmente il metro, la Ctenanthe ha un irrisolto lato oscuro e va di magia spicciola.

Ignari ed estatici davanti ai ricercati e misteriosi disegni delle sue foglie, ne avete favoleggiato con un conoscente noto per vanterie botaniche.Uno che, avuto in gestione un orto per anziani, per un attimo voleva darsi a coltivazioni ambigue per rinvigorire la pensione poi – troppo pigro per crearsi una clientela - , ha ripiegato su certi pomodori che gli vengono grossi come le palle di Bossi. Beh, agli ortaggi da Isola del dottor Mabuse di Giuseppe, è ora di opporre il rigoglio di una pianta da veri maestri del verde, una specie che i manuali sconsigliano a chi non è pronto alla sconfitta e manca di padani attributi.

Pronti allora per stupire, carichi di autostima e amor patrio, per giorni avete vezzeggiato in ogni modo la Ctenanthe, parlandole e sussurrandole persino un paio di poesie di Sandro Bondi. Tenerissima, molto efficace, quella dedicata alla mamma di Dio ha generato due splendidi getti. Lei, ormai piu simile a un quadro di Klimt che a un vegetale, pareva ricambiarvi con lucentezza e magnificenza. Avreste umiliato Giuseppe e i suoi ortaggi. Se non fosse che, avvicinatovi per una perfida lucidatine finale, d`un tratto addio Klimt. Sulle foglie niente più sfumature, geometrie intarsi. Avete un bel da rigirarle convulsamente: tinta unita. Incazzati come solo La Russa sa esserlo quando sparisce qualcosa, tipo qualche deputato dal partito, azzannate il figlio minore, sì, quello con la bomboletta sempre in mano. Vuoi vedere che finito lo striscione per Pontida ha smaltito gli avanzi di colore sulla pianta? Del resto già una volta l’avevate beccato a omogeneizzare le pareti del bagno con il pensiero politico e vi è costato un mille euro di intervento riparatore.

Ma la pianta ha fatto tutto da sola: è il giochetto preferito della Ctenanthe e nemmeno quelli di Voyager ne sono venuti a capo. Si sa solo che ci marcia da tempo immemore, con gli indigeni brasiliani che la chiamarono pianta della preghiera. Soggioga così chi crede di poterla gestire e senza alcuna miccia di causa/effetto, farà ricomparire i disegni con la stessa estemporaneità. Ma voi volete sapere come e perchè, l’esoterico vi attizza e la scienza pure, anche se avete all’attivo la maturità geometri (ricordate come fosse trascorso un giorno quel bel tema sui crepuscolari e Fogazzaro). Qual è il segreto della beffarda Marantacea (famigliola d’appartenenza)? Non ci dormite la notte. Vi alzate con la scusa della prostatite per sbirciare le foglie. Astuti come Buttiglione quando aspirando all’Europa riuscì a farsi ricacciare in un anfratto della madre patria, provate ogni tipo di lusinga. Concime, rinforzante, ravvivante, rinverdente. Anticocciniglia, funghicida, ammazza-afidi. E se fosse l’acqua calcarea, quella più o meno di tutti i sindaci? Ai tempi del referendum la pianta si era ammosciata come un’eroina tisica. Ora provate con acqua minerale, ma niente. E’ verde senza un segnetto e le foglie sono chiuse come coni al pistacchio. Passa il figlio piccolo, quello di Pontida. Che vuoi papà? chiede davanti al lampo luccicante dei vostri occhi. Dov’è?! No, non te la do. Si no, breve colluttazione. Ce l’avete. E la scaricate nel vaso della Ctenanthe. Lo sapevate, l’avevate sempre saputo. La tela si ricompone. Klimt ritorna proprio mentre Giuseppe lo spocchioso suona alla porta. Ha in mano un bel grappolo di pomodoroni. Assaggia! Vi sfida. Bevi! Rispondete, anche se dargli l’ulima acqua del Po un po’ vi secca.


Siete stati a Pontida, bravissimi, e per tre euro avete portato a casa la vitale ampolla con l’acqua del Po.

lunedì 20 giugno 2011

La verità vi prego sui bonsai

Quando chiedono ‘ma è vero?’ viene l’orticaria. Normalmente accompagnano la domanda con una strofinata anche robusta alle fogliette, poi vi guardano sospettosi. Ma certo, rispondete seccati domandandovi se piuttosto che al bonsai non era meglio dedicarsi all’origami.

Sentimento personale: li accomuna una assoluta inutilità. L’origami, però, nonostante certi libri (al rogo al rogo) ne divulghino scelleratamente la tecnica, viene ancora percepito come confinato in Giappone, un po’ come i disastri nucleari, chè l’oceano ci distanzia e salva. E’ un inganno, naturalmente. L’origami ha buon gioco nelle scuole inferiori e a certi sbilenchi lavoretti infantili datati natale e pasqua pochi si sottraggono. In genere comunque basta rovesciarci un po’ d’acqua sopra e il manufatto cartaceo, come del resto abbiamo visto i noccioli delle centrali nucleari, torna alla fisica originaria.

Il bonsai è ben più coriaceo. Intanto ha massicciamente varcato i mari – si pensa in nave, come Nosferatu – e non c’è negozio o vivaio esente da conquista. Un caso bizzarro: mentre comunemente ci si danna per salvarsi dagli errori della natura, al bonsai si aprono le porte, lo si vezzeggia, lo si pone in alto per dargli la dovuta evidenza, lo si illude di incarnare tenacia, ardimento e persino grazia.
Il guaio è che così il bonsai si guasta ulteriormente il carattere. La stazza ridotta è sì stata ingiustamente vittima di ignobili lazzi (Longanesi: era cosi’ nervoso che si sfogava camminando su e giu’ sotto al letto; mia cugina di Mogliano veneto: più i xe piccoli più i xe cativi; e via calunniando), ma qui la reazione è fuori controllo.

Ci sono bonsai che si credono Napoleone e altri che si credono ministri della repubblica. Il rischio si aggrava se il delirio trova degli sponsor: si favoleggia di un bonsai che voleva dir messa perché si sentiva in croce e intanto aveva trovato alloggio in Vaticano.
Ma al di là delle leggende, la convinzione è che ogni pianticella abbia una sua personalità e proprie caratteristiche. La vostra per esempio, odia la precarietà. Ogni volta che cambiate attrezzatura o metodo di lavoro, è come se si sottraesse. Giurereste di averla vista girare le foglie dall’altra parte e siete certi che se avesse avuto la possibilità sarebbe fuggita a radici spiegate. Quindi non di rado il bonsai è anche un ingrato.
E voi che per farne quel nanerottolo frusciante avete sudato anche da fermi: rigidamente catechizzati da manuali che nulla consentono all’iniziativa personale, lo avete tirato su secondo la tecnica dell’eretto formale, stile vincolante per le simil-conifere, teso a mantenerne il vigore anche nella galleria del vento e senza interventi esterni, magari femminili.

Ignari che i bonsai tengono in giusta considerazione solo loro stessi, neppure sapevate che arrivano a ‘mordere’ la mano che li nutre. Ecco perché ve ne state con la destra fasciata alla bell’e meglio. Mentre eravate intenti a calcolare che il ramo principale raggiungesse davvero un terzo dell’altezza totale e per far prima avete usato il vecchio metodo del pallino da bocce (pollice e mignolo aperti a far misura, chissà perché saltava sempre su anche il medio) zac, avete fatto cadere il bonsai e nel raccogliere i pezzi del vasetto vi siete feriti. Un esempio fallito di semplificazione.

Il consiglio è lasciar perdere le piante, specie quelle che richiedono il metro da sarta. Del resto per certa botanica da camera non basta la laurea, pare ci voglia il nobel. Così, tanto stanchi quanto vendicativi, consci che i bonsai temono i cambiamenti ma ancor più gli agguati, avete maturato un epilogo feroce.
La zia Perla è piombata a prendersi il bonsai che a dispetto dell’impegno si era sviluppato a scopa rovesciata, con sfascio di ogni progettualità. La zia, già soluzione finale per lo zio Pino, è stata individuata proprio per questa assonanza. Se ha portato alla tomba il Pino (conifera) come può fallire col bonsai? Eppure, nel mettergliela in mano avete avvertito un fremito di colpa: sta attenta sai, che per certe robe ci vuole il nobel! E lei: eh, stavano per darmelo, che ti credi? Poi però ho scelto il giardinaggio.

lunedì 6 giugno 2011

Ficus Elastica

Il Ficus Elastica non ci prova neanche. Sa di avere quest'aspetto plastificato, questa consistenza al moplen, il tatto di una vaschetta di margarina e la mollezza di un paracarro: quindi non bara, a partire dal nome. Piu' che una pianta è un derivato petrolifero e oggi campa di imbarazzi, perché con le energie alternative non si sa come andrà a finire. Intanto, pero', riposa sugli allori.

Digressione. Che li schiacci un po', questi allori, non dispiace: son arbusti vanitosi che se la credono, molto per colpa di David e Ingres. Cioè: avete mai visto un pirla diverso da un neo laureato con dell'alloro in testa? Se non erano i pittori a ficcarlo in fronte a Napoleone o Cesare, l'alloro restava a vita nel culo del pollo arrosto.

Riprendo. Il ficus elastica, meglio noto come albero della gomma per via del lattice colloso che molla se gli si incide il tronco, ha segnato un record di vendite alle aste olandesi.

Pare che l’Elastica abbia quantomeno doppiato il cugino Benjamin, che con quel nome biblico-buonista ha lasciato fare e adesso col gradimento a picco e nessuna utility da offrire, è pentitissimo ma boia se lo ammette. Va da sè che la plastica vive un momento felice. Quanto alle foglie protese e infrangibili, sono la metafora dell'eterna giovinezza. Nulla le scalfisce. Non si piegano, immote, senza solchi, botulinizzate. Potrebbero benissimo spadroneggiare in un reality o tener banco in un talk show de La7. Mentore della magia della medicina estetica senza dimenticare i primi passi mossi come chewingum, il ficus elastica profetizza la felicità. Ora, lontani dalle luci della ribalta e dalle lusinghe di Faust, resta da chiarire perche' in un appartamento di Supersano uno si debba infilare un albero della gomma.

Plausibile un'intrusione a casa Santanchè - se non si ha a mano una siringata di silicone si prova col caucciù prima che il labbro si spadelli sul mento - ma nel tradizionale alloggio salentino, che ci fa l'Elastica? Una pianta ialuronica, che in natura può raggiungere i trenta metri e già vede come primo obiettivo lo zenith della volta a stella. Prima che le vicine sfiorite bussino alla porta per accoltellarvi la pianta e correre a farsi una maschera col succo rigenerante, c'e' da prendere una decisione etica: o incoraggiarle e trasformare tutto cio' in un provvidenziale second business (la panetteria non va mica tanto bene), o sbarazzarsi dell'Elastica recuperando serenità, coscienza della caducità delle cose e soprattutto rigettando tentazioni lestofantesche.

Senza indugi, state aiutando il vostro Ficus a riprodursi per margotta. Uno due tre quattro Elastichini nuovi nuovi e già suonano alla porta. Vostra moglie che, saggia, non e' mai andata oltre la Cera di Cupra, prova a distogliervi citando un cugino finanziere che ha preso vari encomi per eccesso di zelo. Ma voi niente, state lì, cutter in mano e sorriso malizioso. Lei minaccia e voi omaggiate la prima cliente. Lei sbatte un uscio e voi cinguettate 'soddisfatta o rimborsata' (solo cinquanta euro la prova). Lei telefona al cugino e voi affondate la lama nel tronco. Lei piange sommessamente invocando antiche felicita' ma ormai la sua voce ondeggia, va, torna. E va a spegnersi, rimbalzando contro il muro di gomma dell'Elastica. Che immota e protesa si mastica un caucciù.

sabato 28 maggio 2011

Il Croton non fa provincia

Il Croton non fa provincia. Nulla a che vedere con la Calabria. Come Sandokan viene dalla Malesia e come Sandokan è pronto all’arrembaggio. La sua pirateria sta nella multipla forma, nel cambio casacca facile facilissimo: un acuto e professionale trasformismo, roba da insegnare qualcosa persino a Calearo.

Croton si presenta oggi con foglie allungate ed elittiche ma domani con foglie corte e ovali, ora a margini lobati e ora magari lisci, forse con striature rosa o forse gialle, in un’alternanza di genere mutuata da certe disinvolture parlamentari e comunque luminoso esempio di integrazione in seno alla repubblica italiana.

Diverso ma comunque sempre se stesso, avrà capito questo croton – che croton non ci pare per niente, poi - che adeguandosi in scioltezza ai gusti di chi ti deve far entrare in casa (villone o appartamento che sia) si va più lontani e si sconfigge l’ insicurezza dei nostri tempi.

Quanto a voi, eccovi gabbati al vivaio. Entrando – spinti da quella fregola di cambio look domestico che spesso passa per impulsi autodistruttivi (prima delle piante vi avevano sedotti il divano letto Trimalcione e la poltroncina Betsabea) – avevate una sola certezza: tutto ma non un altro Croton, l’ho scelto una volta ma non ci ricasco. Non l’ha mai pari, troppa luce troppa ombra troppo freddo troppo caldo. Non sta bene in nessun posto. Qui c’è l’ombra e là c’è il sole. Ingiallisce e rinverdisce a singhiozzo e comunque sempre in situazioni diverse. Non ci si può far conto. Ancora vivido quel periodo defatigante in cui – nutrendo speranze di spuntarla – misuravate persino la temperatura ‘vasale’ al croton, attendendo rapacemente di potervi impadronire del termometro Chicco spesso impegnato in esplorazioni diagnostico-pediatriche. 15, 16 gradi max d’inverno, ma ti ricordi? con effetti collaterali misti: liti notturne per il possesso del piumone, quell’urinare compulsivo, moglie a letto coi calzerotti che, diciamolo, è un autogol mostruoso.

Schivato dunque lo scaffale col croton che ricordavate così bene, avete pagato e non poco per tre begli esemplari di Coedion variegato. Oggi odiate i self service, i mercatoni, gli ipermercati dove tutto ha un nome sul cartellino ma si è infinitamente soli nel momento delle scelte. L’ultimo commesso è stato visto al reparto imballaggi ma ormai è un anno e chissà. Forse si è auto spedito a casa, forse di piante non ne sapeva, fatto sta che orfani davanti al Coedion come potevate immaginare che era sempre lui, il Croton, che sotto nome scientifico si ri-insinuava nel vostro quotidiano? Giuro, tutto diverso. Colore, forma, dimensioni. Avrebbe fregato anche la Digos.
Lo avete scoperto non molto dopo. C’è sempre un parente saccente che come folgorato davanti alle piante gorgheggia ‘Ah, che bel:::! ‘
Questa volta l’avete presa male. Lasciate il crotn in favore di sole. Quando si superano i 27 per un pochino…è fatta. O almeno sperate. Perché a volte ritornano. O semplicemente non se ne vanno. Ne deve essere convinto anche Scilipoti, che ha il pollice verde ma anche bianco blu e grigio e una collezione di croton da perdere la testa.

lunedì 23 maggio 2011

Monstera deliciosa

Sarà perché a casa sua la sterminano assieme al resto della foresta amazzonica che la Monstera deliciosa ha deciso di installarsi a casa vostra. Praticamente è una rifugiata politica, un’icona della sopraffazione delle multinazionali, un reperto caro alle ultime tribù indios e dunque attenti a come la guardate.

Ve l’hanno portata per l’anniversario di matrimonio, ecco l’errore di avere amici senza fantasia, si sa che una pianta va sempre bene. Posto che non li inviterete mai più anche perché nel frattempo vi siete separati, la pianta sta lì a ricordarvi i plurimi errori del passato. E pur accudita il minimo sta benissimo, forse perché la missione non le dispiace o semplicemente in quanto, come hanno sottolineato nello spingervela in salotto dentro un capitello corinzio, “è molto resistente, veramente tanto”.

Ne diffidate. La Monstera deliciosa – già la sottile paraculaggine del nome (o l’uno o l’altro eh? si può definire che so, una Binetti deliziosa?) - è coriacea e tenace e, altra prerogativa inquietante, cresce come solo una pianta ancestrale può crescere. La Monstera occupa ormai un terzo della cubatura del bilocale. Fate fatica a entrare con la spesa. La pianta ha doppiato la larghezza dell’ingresso e come un veliero in bottiglia non ha più uscita. Impossibile regalarla al portiere (idea salvifica ma tardiva). E’ anche cespugliosa e intricata. Toglie luce, fa paura: sospettate che abbia intimorito la Mariangela, che era venuta a cena ma non ha mai più risposto al cellulare. E’ un’invadenza possessiva quella delle foglione frastagliate, marziane e scure. La pianta vuole l’esclusiva. Presto non vi lascerà più muovere, reclamando un amplesso botanico.

Ecco un caso di legittima difesa, in cui abbandonare ogni scrupolo.

Prima botta con la Coca (Cola), metodo collaudato, larga percentuale di successo. Data la stazza della Deliciosa, necessarie almeno tre bottiglie da un litro e mezzo. Attendere le ombre della sera, agitare prima dell’uso e stappare, riversando nel terriccio le spume venefiche. Per una figlia della foresta Equadoriana la fine può essere lenta. Tenete la pianta sotto stretta osservazione e se dopo un paio di giorni ha ancora le foglie di quel verdone vivido, approfittate del momento storico e lasciate accesa la tv. Su qualche rete passa certamente il monologo berlusconiano o la Moratti ingastrita pre-ballottaggio. Gli espettorati elettorali travolgeranno la Monstera, companera e campesina, estremista di natura. Impallidirà, si torcerà , afflosciandosi infine sopraffatta dalle minacce dell’ecopass.

Riciclate il cadavere. Foglie nella differenziata, capitello base TV, tronco e rami della defunta ad alimentare un autunno di seduzione davanti al caminetto. Raggiunta dall’eco della fine, la Mariangela vedrete che torna.



martedì 17 maggio 2011

Un nemico verde non è solo un marziano

Son bravi tutti a rimorchiare una schefflera e portarsela in salotto. Ti raggira. Ti fa credere che ingentilirà la tua vita d’appartamento, ti coprirà di ozono, ti laverà i bronchi e gli occhi. Ti illude di poterti apparecchiare la campagna senza l’obbligo di pic nic (e formiche).

Ci caschi, anche i migliori cadono. Tra l’altro questa schefflera, come le sue amiche verdi, è una tipetta ammiccante, tutta svolazzi, con quelle manine leghiste protese verso la zona giorno. Inganno! Qualcuno deve aprire gli occhi a chi non va oltre le foglie.
La pianta: un dottor Jackyll alla clorofilla: fuori – boschi, viali, prati, aiuole, terrazzi, giardini – miracolo imprescindibile. Madre di Ossigeno e Armonia. Trionfo di Vita e Paesaggio.

In casa, insidiosa presenza. Mr Hide infatti dentro ruba quel che fuori regala - l’aria che respiri -, partorisce bestiole non domestiche, ti schiavizza ferie e week-end col suo bisogno d’acqua oppure costringe amici di buon carattere a farla bere in tua assenza. Se manca la leva volontaria, la pianta farà lievitare le spese per la colf, annaffiatoio in pugno fuori orario. L’acqua poi, anche se avete piazzato il sottovaso in plastica, bagnerà senz’altro e comunque il pavimento realizzando tratti giotteschi (indelebili) su marmi e parquets.

E mica è finita: la schefflera intristita perde le foglie (sempre sul pavimento): i fitofarmaci sono carissimi e il prodotto che cercate arriva sempre la settimana prossima. Intanto i bambini scalano la pianta, il gatto fa la pipì nel vaso, il cane butta giù bambini pianta vaso oppure lo fa il gatto, o i bambini, o magari voi, che sfiniti arrancate al buio verso il corridoio notte. Insomma e’ lo Sporco. Quell’assassino.

Se detto ciò non ritenete che le piante in casa siano una minaccia, avete senz’altro sbagliato blog e vi auguro mille azalee. Se invece abbracciate con me la tesi del nemico verde, scopriamo come difenderci e liberarcene alla faccia del convivente e del pollicione di cui tanto si vanta, lui (lei) che anche in vacanza a Porto Cesareo, una volta, ha piazzato sulla tv un’artemisia nana sradicata dal cortile condominiale. Artemisia, finite le ferie è tornata a casa con voi e lì ancora prospera. Per adesso…